I resti animali, risalenti a circa 36.000 anni fa, indicano che il sito fu frequentato in modo intermittente per almeno 10.000 anni, nonostante i continui cambiamenti climatici. I gruppi umani che vi sostavano cacciavano principalmente cervi, cavalli selvatici, bisonti e camosci, animali tipici di ambienti boschivi, montani e di prateria. Queste presenze, brevi e non stanziali, suggeriscono che il luogo servisse principalmente per la caccia e la lavorazione iniziale delle prede.
Questa ricerca mette in discussione l'idea che l'interno della penisola fosse quasi disabitato dopo la scomparsa dei Neanderthal, e che sia stato ripopolato solo molto più tardi. Al contrario, il team di ricerca sostiene che le comunità di Homo sapiens, pur affrontando un ambiente climatico difficile, erano ben integrate nel loro ecosistema. Erano capaci di sviluppare strategie di sussistenza efficaci, basate soprattutto sulla caccia e sulla lavorazione di grandi ungulati, dimostrando la loro grande capacità di adattamento alle dure condizioni ambientali. Questi ritrovamenti, in una regione finora poco studiata, ci spingono a ripensare i modelli di mobilità e adattamento dei primi esseri umani in questa zona.