In sintesi: la convinzione mentale di possedere un arto funziona come un interruttore che abilita o esclude la nostra capacità di sentire il tocco.
Sotto il "cofano" del cervello: il ruolo della connettività
Per mappare questo meccanismo, i ricercatori hanno integrato due tecnologie avanzate: l'elettroencefalografia (EEG) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS). Questa combinazione ha permesso di osservare in tempo reale il "dialogo" tra le diverse aree cerebrali.
Dall'analisi è emerso che la corteccia somatosensoriale primaria (l'area che elabora il tatto) non lavora in isolamento. La sua capacità di renderci coscienti di uno stimolo dipende da quanto intensamente comunica con le altre regioni del cervello:
Connessione aumentata: Si verifica quando vediamo un tocco sulla mano di gomma percepita come nostra.
Connessione ridotta: Avviene quando lo stimolo colpisce la mano reale, che in quel momento il cervello ha temporaneamente "disconnesso" dalla propria rappresentazione corporea.
Verso protesi "sensibili" e nuove terapie
Le implicazioni di questa scoperta vanno ben oltre l'esperimento di laboratorio e promettono di rivoluzionare la riabilitazione clinica, in particolare per chi ha subito amputazioni.
Integrazione delle protesi: Comprendere come il cervello possa "sentire con gli occhi" permetterà di progettare dispositivi che il paziente percepirà come parte di sé, migliorando l'esperienza tattile e la naturalezza del movimento.
Neuroscienze della coscienza: Lo studio approfondisce la nostra conoscenza sui network neurali che permettono l'accesso cosciente alle sensazioni, offrendo nuovi spunti per trattare patologie neurologiche o psichiatriche dove la percezione del sé è alterata.



