Un team della Sapienza guidato da Lorenzo Nigro del Dipartimento di Scienze dell'antichità ha scoperto a Mozia i resti di una stele fenicia con un’iscrizione dedicata al “servo di Melqart”, titolo del re della città
Un team della Sapienza, guidato da Lorenzo Nigro del Dipartimento di Scienze dell'antichità, ha rinvenuto, all’interno di una torre difensiva a Mozia, una stele con un’iscrizione in fenicio che recita “tomba del ‘servo di Melqart’ figlio di…”, titolo normalmente riferito al re dell’isola.

Durante l’ultimo giorno di scavi, la Missione archeologica della Sapienza ha scoperto i resti di un’importante sepoltura, celati all’interno di una camera cieca di una torre difensiva del primo circuito murario della città, databile alla metà del VI secolo a.C. Assieme ad alcuni vasi frammentari, sono stati rinvenuti resti umani di un adulto e di un bambino e un cippo funerario in calcarenite. Della stele è conservata la parte superiore, alta circa 45 cm, e sulla sommità sono ancora presenti tracce di pittura rosso vivo. Su un lato il cippo reca un’iscrizione monumentale in fenicio conservata su quattro linee che indica: “tomba del ‘servo di Melqart’ figlio di…”. Melqart è il dio protettore del re di Mozia che, ricorrendo a questo appellativo, sottolineava il diritto divino della propria regalità. Lo stato di conservazione dell’iscrizione, sebbene incompleta, la pone tra le migliori iscrizioni monumentali mai rinvenute sull’isola e fornisce un’importante indicazione sia sulla localizzazione della necropoli sia sulla cronologia di quanto portato alla luce.

La missione archeologica a Mozia coordinata da Lorenzo Nigro fa parte dei Grandi scavi di Ateneo ed è condotta in convenzione con il Dipartimento Beni culturali della regione siciliana – Soprintendenza BBCCAA di Trapani e in collaborazione con la Fondazione G. Whitaker.

 


Lo rivela un fossile di 5 milioni di anni fa scoperto vicino a Grosseto dai paleontologi dell’Università di Pisa


Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros) sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi.
Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo - almeno così si pensava - che potessero essere vissuti in questo mare all’inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale. Invece è successo. Ad Arcille, vicino a Grosseto, in una cava di sabbia è stato scoperto il cranio fossile di un monodontide di circa 5 milioni di anni fa. Gli è stato dato il nome di Casatia thermophila. ‘Casatia’ è un omaggio a Simone Casati, scopritore di molti importanti fossili della Toscana e in particolare della cava di Arcille, e ‘thermophila’ significa ‘amante del caldo’ per sottolineare che questo cetaceo viveva in acque tropicali.


Un nuovo studio, coordinato dalla Sapienza, scopre il più antico calendario lunare in un ciottolo del Paleolitico superiore proveniente dai Colli Albani. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports
Il calendario lunare più antico è un ciottolo del Paleolitico superiore rinvenuto nella zona di Velletri, sui Colli Albani. A svelarlo è Flavio Altamura del Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, che ha presentato i risultati di analisi condotte su un’enigmatica pietra decorata più di 10.000 anni fa. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports.

Il reperto è stato rinvenuto nel 2007 sulla cima di Monte Alto, sui Colli Albani, a sud di Roma. Il manufatto è stato definito come strumento “notazionale” e rappresenta uno dei rarissimi reperti paleolitici per i quali gli studiosi hanno ipotizzato questo utilizzo. Ad attirare l’attenzione degli archeologi sono tre serie di brevi incisioni lineari, chiamate “tacche”, lungo tre lati adiacenti del ciottolo. I misteriosi segni comprendono rispettivamente sette, nove/dieci e undici tacche, disposte in maniera regolare e simmetrica, fino a esaurire lo spazio disponibile lungo ciascun lato.

 

Sembra alquanto strano che non vi sia stato archeologo sino ad oggi che abbia mai confrontato i sesi di Pantelleria con le strutture pre-nuragiche a gradoni e proto-nuragiche della media età del Bronzo. Il ben noto sese di Contrada Mursia a Pantelleria con la sua struttura realizzata in pietra a secco evoca tanto nell'impianto progettuale tanto nella tecnica di realizzazione sia gli altari a gradoni (anch'essi realizzati con pietrame a secco) della Sardegna, come quello di Monte d'Accoddi nel territorio di Sassari (non più utilizzato a partire dell'inizio del II millennio a.C., quando apparve nell'isola la Cultura del vaso campaniforme) sia i proto-nuraghi, come ad esempio quello di Albucciu nel territorio di Arzachena, risalente alla fase finale della Cultura del vaso campaniforme, tra il 1900 ed il 1600 a.C., e coincidente con la facies di Bonnanaro (considerata tra l'altro l'evoluzione finale della suddetta Cultura del bicchiere campaniforme in Sardegna).

I sesi di Pantelleria, indagati e studiati già da Paolo Orsi negli anni '90 del 1800, e poi dal prematuramente scomparso Sebastiano Tusa cento anni dopo, si presentano infatti come strutture con un impianto ''ibrido'', tra gli altari a gradoni del III millennio a.C. e le strutture proto-nuragiche della prima metà del II millennio a.C. I sesi hanno una base ellittica, avente dunque due diametri, il maggiore fino a 20 m. (o poco più) e quello minore fino a 10 m. (o poco più); un alzato in pietrame a secco formante terrazze tronco-coniche, ovviamente restringendo via via il loro diametro procedendo nel senso dell'altezza, che oltrepassa i 5 m. Il sese di Contrada Mursia, il più grande che si conosca, presenta un'altezza di 5,58 m., con i suoi tre livelli, anche se è probabile che queste strutture potessero svilupparsi su più livelli formando una struttura a piramide di coni tronchi degradanti, raggiungendo dunque altezze maggiori. Si presentano proprio come gli altari a gradoni, ma con le basi ellittiche invece di essere quadrangolari, come fossero tanti nuraghi tozzi in successione e di grandezza decrescente nella loro successione dal basso verso l'alto. Nell'anello basale, ossia il piano della struttura a contatto con il terreno, vi sono diverse entrate, ovvero porte realizzate in blocchi di pietra sormontati da architravi, proprio come nelle strutture proto-nuragiche, le quali, ciascuna attraverso un corridoio, che sviluppa una linea di percorrenza fino a 7 m., conduce ad una camera funeraria di forma circolare che presenta una cupola ogivale (a sesto acuto, come nelle cattedrali gotiche).

Finanziato dal Miur il progetto ‘Pharaonic Rescission’ dell’Università di Pisa

 

Scrivere per la prima volta una storia sociale dall’Antico Egitto al di là dei fasti di faraoni e regine, mettendo piuttosto al centro il popolo e le classi meno agiate. E’ questa la sfida del progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) ‘Pharaonic Rescission’ (PROCESS) dell’Università di Pisa che si è appena aggiudicato un finanziamento di oltre 200mila euro dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur). A idearlo e proporlo è stato Gianluca Miniaci del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, uno dei due ricercatori under 40 in tutta Italia che è riuscito ad ottenere i fondi ministeriali per un progetto nella categoria “giovani” per il settore SH6 “Studio del passato umano: archeologia, storia e memoria”. 
“Ad oggi conosciamo solo una storia, quella dei faraoni e dell'élite, che ci hanno lasciato iscrizioni, testimonianze di grandi gesta, templi e tombe monumentali, tesori archeologici, tutti frammenti dei loro “ricordi”. Non sappiamo quasi nulla della gente comune che non ha potuto lasciare tracce così evidenti nella storia – racconta Gianluca Miniaci - ora si tratta di scriverne una nuova, una che abbia come protagonista quella massa di popolazione invisibile fatta soprattutto di lavoratori, commercianti, agricoltori, ma anche persone benestanti e socialmente agiate, che non ricoprivano un ruolo politico rilevante”.

 

(Clamorose scoperte sull’età del bronzo siciliano: quasi tutti gli abitanti della Sicilia di quel tempo provenivano dal centro Europa)

Sull’origine dei Siculi, già presenti in Sicilia quando nell' VIII sec. a.C. vi giunsero i Greci, sembra che si stiano per squarciare le nebulose del tempo, grazie alle ricerche dell'archeologo Alessandro Bonfanti, esperto di Preistoria indoeuropea e autore di due corposi saggi sul loro conto, di prossima pubblicazione.

Mi occupo dei Siculi da una decina di anni – dice il ricercatore – e mi sono presto reso conto che i pochi studi condotti su di essi, ma in generale sulle popolazioni siciliane dell'età del bronzo e della prima età del ferro, giungono spesso a conclusioni superficiali e prive di obiettività scientifica. Per questo ho riletto le fonti che li riguardano nelle lingue originali greche e latine, imponendomi di indagare su di loro senza condizionamenti di sorta. Le analisi linguistica e antropologica hanno fatto il resto. Non dico nulla di nuovo – spiega Bonfanti – quando affermo che gli storici antichi hanno parecchio confuso sull'origine di questo popolo, a volte presentato come ligure, altre come enotrio o italico, oppure, così come per i Sicani, originari dell’isola, quasi fossero apparsi dal nulla. 

I Siculi, invece, erano una popolazione di stirpe indoeuropea e di ceppo illirico, i quali, intorno al IV millennio a.C., erano un tutt’uno con altre genti illiriche stanziate nel centro dell'Europa, sopra il corso medio del Danubio, al confine di altri macro gruppi indoeuropei: a ovest, con quelli da cui deriveranno i proto-Latini, gli Osco-umbri e i Veneti (Paleoveneti o Venetici), a est e sud-est con i precursori degli Elleni, dei Macedoni e dei Frigi, a nord con il gruppo celto-germanico. Qualche rapporto osmotico i Siculi lo avranno anche con gruppi ''Altoeuropei'' o ''Paleo-europei'' e, ancora, con ''Indoeuropei A'', a cui appartenevano i Sicani, con i quali non ebbero alcun rapporto, in quanto ostacolati dal Danubio che li divideva e lungo il quale quell’originario gruppo carpatico, detto ''A'', era stanziato a partire dalla riva meridionale del fiume.

 

I cebi dai cornetti, specie separatasi dall’uomo circa 35 milioni di anni fa, sono in grado di riconoscere quali oggetti hanno maggior valore per essere utilizzati come moneta di scambio e ottenere cibo. È quanto risulta da uno studio condotto dal Cnr-Istc, pubblicato sulla rivista Animal Cognition

 

L’uso del denaro da parte dell’uomo sostituisce il baratto all’incirca 6 secoli prima di Cristo e rapidamente diventa il mezzo più efficiente per ottenere beni e servizi, condizionando ogni aspetto della nostra vita. Per comprendere quali fattori abbiano permesso la transizione dal baratto al sistema economico attuale è importante indagare le origini evolutive dell’utilizzo del denaro, studiando il comportamento di alcuni primati non umani, le specie animali evolutivamente più vicine a noi.

In uno studio pubblicato sulla rivista Animal Cognition, i ricercatori dell’Unità di primatologia cognitiva dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc) di Roma e dell’Institute for Advanced Study (Iast) di Tolosa, in collaborazione con l’Institute Jean Nicod, Ecole Normale Superieure di Parigi, hanno preso in esame il comportamento di ‘baratto’ dei cebi dai cornetti, piccole scimmie sudamericane la cui linea evolutiva si è separata da quella umana circa 35 milioni di anni fa. “Abbiamo coinvolto sei cebi dai cornetti in due esperimenti di scambio di token, gettoni colorati ma anche bulloni e oggetti vari di ferramenta”, spiega Elsa Addessi, ricercatrice Cnr-Istc. “A ogni scimmia è stato consegnato un set di quattro diversi token: token familiari (a loro già noti) e non familiari (introdotti nel presente studio) che, nello scambio con lo sperimentatore, portano a una ricompensa alimentare; token non validi, usati in precedenti esperimenti, ma che perdono valore di scambio e oggetti, a loro sconosciuti, senza valore di scambio”.

I ricercatori hanno scoperto che le scimmie riconoscevano prontamente la validità dei token come mezzo di scambio indipendentemente dalla loro familiarità. “Abbiamo dimostrato che i cebi sono in grado di categorizzare i token in base alla loro validità, cioè al loro essere ‘in corso’, come lo è l’euro rispetto alla vecchia lira”, prosegue Francesca De Petrillo, ricercatrice Iast a Tolosa. “Analogamente a quanto avviene negli esseri umani, i cebi hanno scambiato per primi e in maggior numero i token ‘in corso’ rispetto a quelli ‘fuori corso’ e agli oggetti privi di valore, a prescindere dalla loro familiarità. Pertanto, i cebi sono in grado di categorizzare e utilizzare i token in modo simile a quanto noi facciamo con il denaro”.


Un team di ricerca internazionale coordinato dalla Sapienza ha mostrato, attraverso la ricostruzione della scapola con tecniche di imaging 3d, che uno scheletro della specie Homo neanderthalensis, il più antico e completo mai rinvenuto, possedeva caratteristiche della spalla che lo distinguono dagli altri Neanderthal oltre che da Homo sapiens.

Lo studio è pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews
Lo scheletro umano rinvenuto nel 1993 in una grotta presso Altamura (Bari, Puglia), il Neanderthal più antico e completo mai scoperto, continua a rivelare sorprendenti novità. Si tratta del cosiddetto “uomo di Altamura”, recentemente datato a circa 150 mila anni, che da oltre un decennio è oggetto della più approfondita e tecnologicamente avanzata ricerca paleoantropologica svolta in Italia su un singolo reperto preistorico, oggi nell’ambito delle attività di un progetto di ricerca PRIN 2017-2019 finanziato dal MiUR.

In una ricerca pubblicata sulla rivista internazionale e interdisciplinare Quaternary Science Reviews, l’equipe scientifica guidata da Giorgio Manzi della Sapienza Università di Roma – in collaborazione con colleghi dell’Università di Firenze e della Duke University (Carolina, USA) – utilizzando sofisticate tecniche digitali, è riuscita a ricostruire la scapola destra dell’uomo di Altamura a partire da 3 frammenti ossei estratti fra il 2009 e il 2015 dalla grotta (gli unici prelevati a tutt’oggi). L’analisi ha rivelato qualcosa di inatteso rispetto alla morfologia dei Neanderthal dell’ultimo glaciale, i cosiddetti "classici”, che sono più recenti di circa centomila anni rispetto all’uomo di Altamura, e anche rispetto ai loro antenati del Pleistocene Medio.

 

 

Questo fine settimana si apre il Munich Show (Mineralientage Munich) è l'evento più atteso ed la più grande fiera europea di minerali, fossili, pietre preziose e gioielli con oltre 1.250 espositori e circa 40.000 visitatori. Ogni anno alla fine di ottobre, scienziati, collezionisti e commercianti di tutto il mondo si incontrano a Monaco per scambiare, ammirare e acquisire tesori naturali unici.

Una delegazione di Paleofox.com ovviamente sarà presente e cercherà di fotografare e osservare i reperti unici presenti in fiera. Ma vediamo quali anticipazioni l'ufficio stampa di Monaco ha rilasciato questo anno.

Il 26 ottobre 2018 si apre la “Mineralientage Munich” nell'area espositiva e fieristica di Riem di Monaco.  https://goo.gl/maps/brC9HsxdSMp

I visitatori potranno osservare una varietà di tesori unici della nostra terra e la più grande selezione di minerali, fossili e pietre preziose in Europa provenienti da tutto il mondo. Le mostre speciali del 2018 saranno: "Living Unique" mostra che sottolinea il fascino di fossili, minerali, gemme di milioni di anni fa che possono diventare gioielli inseriti nel design della casa. Opere d'arte, mobili e oggetti di uso quotidiano in questa mostra diventano non sono solo unici, ma anche misteriosi, mistici e nobili allo stesso tempo. I gioielli originali del re Ludwig II e dell'imperatrice "Sisi" (conosciuta in generale come “Sissi” ma questo è un errore comune per noi latini) provenienti da musei e collezioni private non sono l'unico punto forte della mostra speciale "The Treasures of Wittelsbacher ". In occasione dell'anno giubilare in Baviera la mostra si occupa dei gioielli e dei tesori della casa regnante bavarese.


Un gruppo di ricerca guidato dai paleontologi del Dipartimento di Scienze della Terra e del Polo museale della Sapienza ha scoperto nei pressi della cittadina di Collepardo, in provincia di Frosinone, i primi fossili italiani di Agriotherium, un orso enorme vissuto nel Pliocene, più di 3 milioni di anni fa. Lo studio è pubblicato sulla rivista Italian Journal of Geosciences
Agriotherium, l’orso gigante “dal muso corto” (in inglese short-faced bear), viveva anche in Italia. A testimoniarlo sono i fossili di un esemplare di questo urside rinvenuti per la prima volta a Collepardo, in provincia di Frosinone. Gli autori del ritrovamento, tra cui anche Italo Biddittu, scopritore del famoso “cranio di Ceprano”, sono un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra e del Polo museale della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’Istituto di Geologia ambientale e geoingegneria del Cnr e l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Italian Journal of Geosciences.

 

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