Responsabilità per tumori da amianto

Nel luglio del 2002 la Corte di Cassazione si è occupata di un argomento di notevole complessità e attualità. È stata sottoposto alla sua attenzione, precisamente, il problema dei c.d. "tumori professionali", in particolare modo, del tumore polmonare e del mesotelio (tessuto epiteliale che riveste le membrane seriose dell'organismo) da amianto.

Il caso, oggetto della decisione della Corte, riguardava lavoratori che, svolgendo attività in stabilimenti in cui si producevano, riparavano e demolivano carrozze ferroviarie, erano morti a causa di insorgenza di malattie, quali il mesotelioma pleurico, mesotelioma peritoneale, carcinoma broncogeno.

Il datore di lavoro di questi stabilimenti aveva violato le norme generali sull'igiene del lavoro, concernenti l'obbligo per il datore di lavoro di adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre lo sviluppo e la diffusione delle polveri nell'ambiente di lavoro (d.p.r. n.304/56) e le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (d.p.r. n. 547/55); norme queste fondamentali in tali ambienti, vista la presenza massiccia di polvere di amianto.

La Corte, in questa sede, impartisce tre principi, destinati ad incidere sull'ordinamento giudiziario. Il primo principio è stato enunciato in occasione di un argomento a sostegno della difesa: gli imputati (i datori di lavoro) avevano gestito l'azienda solo per un tempo determinato. Questo, secondo la difesa, comportava l'impossibilità di sapere la data di effettiva insorgenza delle malattie.

Vale a dire che era impossibile stabilire quanto le azioni o le omissioni del datore di lavoro avessero condizionato la malattia. In realtà, tale elemento, secondo la Corte non ha rilevanza. Si ritiene, difatti, che l'azione o omissione di un soggetto sia causa di un evento non solo quando non c'è stato un intervento doveroso che tendeva ad evitarlo, ma, altresì, se si prova che l'evento si sarebbe verificato in tempi più lontani o, comunque, che la condotta avesse accelerato i tempi di latenza di una malattia provocata da un'altra causa.

I periti hanno, appunto, dimostrato che l'esposizione all'inalazione delle massicce dosi di polvere di amianto ha avuto affetto patogenetico sulla latenza di una malattia già esistente o sull'insorgenza di una non ancora sorta. Questo basta ad accertare che l'evento è riconducibile alla condotta. Non è necessario, quindi, che sia, compiutamente e nei particolari, accertata la concatenazione causale (è comunque molti difficile, anche in situazioni processuali diverse da questa, provare ed accertare tutto il meccanismo causale che ha dato vita ad un evento).

Il secondo principio attiene alla difficoltà di sapere quale è la soglia al di sotto della quale il rischio cancerogeno sarebbe eliminato. La Corte ammette l'impossibilità di conoscere questa soglia e per questo utilizza un altro parametro: in altre parole, valuta come un significativo abbattimento della esposizione avrebbe agito positivamente sui tempi di latenza o di insorgenza della malattia.

Il terzo principio, infine, riguardava il caso di un lavoratore fumatore. La Corte conclude dicendo che anche per coloro che avessero l'abitudine al fumo di tabacco, l'esposizione all'amianto, comunque, risultava essere una concausa che ne potenziava i singoli effetti, si parla appunto di sinergia. E' necessario, in ogni caso, dimostrare la presenza di tracce di asbestosi, placche pleuriche, versamento pleurico, elevata concentrazione di corpuscoli dell'asbesto etc.

Tra i tanti temi toccati da questa Corte, uno ritengo sia importante. Gli imputati si difendevano sostenendo che all'epoca non conoscevano il rischi cancerogeno dell'esposizione all'amianto. In realtà, già nel 1906 si faceva cenno, nelle norme riguardanti i lavori ritenuti insalubri da donne e bambini, alla grande lesività della salute determinata da inalazione di amianto. Inoltre, nella l. 12/43 si parlava già di asbestosi come malattia professionale.

E, poiché le misure di prevenzione da adottare per evitare l'insorgenza di questa malattia (di minore gravità rispetto al mesotelioma) erano e tutt'oggi sono identiche a quelle per eliminare possibili altri rischi, molto più gravi, non conosciuti in quel periodo, non si può ricorrere all'ignoranza (che non sussiste) per escludere la prevedibilità dell'evento.

Non è da sottovalutare, inoltre, che dagli atti processuali è emerso che già nella seconda metà degli anni sessanta si associava, in sede processuale e in alcuni trattati medici, l'amianto al mesotelioma.

In conclusione, oggi non si dovrebbero avere più tali problemi vista l'emanazione nel 1992 (legge n.275) di una legge che vieta l'utilizzo dell'amianto, in aggiunta alle norme (alcune precedentemente citate e tuttora in vigore) relative alla prevenzione e alla sicurezza sul posto di lavoro.


Autore: Anna Maria Daniele

 

Ultima modifica il Venerdì, 25 Febbraio 2011 22:11
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