Gruppo Cnr-Isasi: a sinistra Chiara Schiattarella; a destra, Gianluigi Zito,Vito Mocella e Silvia Romano

 

 

 Uno studio internazionale che ha coinvolto, per l’Italia, l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti del Consiglio nazionale delle ricerche, apre nuove strade per intrappolare e convertire l’energia della luce. La ricerca, pubblicata su Nature, potrebbe favorire sviluppi nella tecnologia quantistica, nell'imaging ad alta risoluzione e nei dispositivi fotonici

Uno studio internazionale che ha unito ricercatori italiani dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Isasi), statunitensi della Molecular Foundry di Berkeley, e studiosi della National University of Singapore (Nus), ha permesso di conseguire un importante risultato nel campo della nanofotonica, il settore di ricerca che studia il comportamento della luce e la sua interazione con la materia a livello nanometrico.


I cianobatteri non solo vivono, ma addirittura proliferano in presenza di luce di stella rossa nana e in assenza di ossigeno.
Un altro passo avanti per cercare vita nell’Universo, grazie a uno studio coordinato dalla prof.ssa Nicoletta La Rocca del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e condotto da un gruppo di ricerca multidisciplinare che coinvolge biologi, bioinformatici, ingegneri e astronomi.


Pubblicato sulla rivista «Frontiers in Plant Science», lo studio Transcriptomic and photosynthetic analyses of Synechocystis sp. PCC6803 and Chlorogloeopsis fritschii sp. PCC6912 exposed to an M-dwarf spectrum under an anoxic atmosphere dimostra per la prima volta come cianobatteri esposti a condizioni simulate di esopianeti con atmosfera anossica e illuminati da una stella rossa nana mostrino buona capacità di crescita e di fotosintesi grazie ad una specifica regolazione genica.


Grazie a una tecnica innovativa, un gruppo internazionale di ricerca è riuscito a tracciare gli enigmatici campi magnetici che permeano cinque colossali ammassi di galassie, incluso il monumentale El Gordo, risalente a quando l’universo aveva circa 6,2 miliardi di anni, poco meno di metà della sua età attuale
Un gruppo internazionale di ricerca è riuscito a tracciare per la prima volta il più esteso campo magnetico all’interno di un ammasso di galassie. L’ammasso in questione è quello di “El Gordo”, il più massiccio mai osservato a grandi distanze, risalente a quando l’universo aveva circa 6,2 miliardi di anni, poco meno di metà della sua età attuale. I risultati – pubblicati su Nature Communications – offrono nuove fondamentali indicazioni per la comprensione della composizione e del processo di evoluzione degli ammassi di galassie.

È arrivato il via libera alla missione spaziale LISA. Si tratta di un passaggio cruciale, denominato in gergo “adozione”, con cui ESA ha approvato la costruzione dei satelliti e della strumentazione di bordo con l’importante contributo di ASI, l'Agenzia Spaziale Italiana. Grazie a LISA, il cui nome sta per Laser Interferometer Space Antenna, si aprirà una nuova finestra sull’Universo: l’obiettivo è infatti costruire un osservatorio spaziale per la rivelazione delle onde gravitazionali provenienti da molteplici sorgenti cosmiche. Centrale, nell’ambito del programma scientifico Cosmic Vision dell’ESA in cui rientra questa missione, è il ruolo dell’Università di Milano-Bicocca e del team dalla professoressa Monica Colpi del dipartimento di Fisica “Giuseppe Occhialini” che ha ricoperto posizioni di guida in diversi gruppi di ricerca, in ESA e nel LISA Consortium, un consorzio internazionale di scienziati che ha definito gli obiettivi scientifici di LISA e progettato la missione.

 

Nel laboratorio di atomi ultrafreddi del Pitaevskii Center for Bose-Einstein Condensation di Trento sono stati osservati per la prima volta dei fenomeni che possono far luce sui meccanismi che determinano la stabilità del nostro universo. I risultati, frutto della collaborazione tra l'Istituto nazionale di ottica del Cnr, il Dipartimento di fisica dell'Università di Trento, il Centro Nazionale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Tifpa e l'Università di Newcastle, sono stati pubblicati sulla rivista Nature Physics

 In che tipo di vuoto si trova il nostro universo? Secondo la fisica moderna, l'universo è il risultato dell'interazione tra particelle e campi - tra cui, per esempio, quello elettromagnetico - e potrebbe trovarsi in una configurazione di equilibrio detta di falso vuoto, ovvero uno stato solo in parte “stabile”, caratterizzato da un livello di energia che non corrisponde al minimo assoluto possibile. Questo permette, in linea teorica, la transizione verso livelli di energia più bassi, a causa di fluttuazioni di energia di origine quantistica o termica che porterebbero a “decadere” nello stato veramente stabile a energia minore, detto di vero vuoto.


Uno studio internazionale guidato dai ricercatori dell’Università Statale di Milano identifica nuove proprietà elettriche di materiali fluidi recentemente scoperti, i nematici ferroelettrici, che avranno un impatto rilevante su dispositivi ottici e display in un prossimo futuro. La ricerca pubblicata in copertina su Nature Physics.
Nuovi materiali fluidi rivelano proprietà elettriche mai osservate prima e potenzialmente rivoluzionarie in diverse applicazioni tecnologiche: è l’esito di una ricerca internazionale coordinata da docenti e ricercatori del gruppo di Fisica dei Fluidi Complessi e Biofisica Molecolare dell’Università Statale di Milano (dipartimento BIOMETRA) e pubblicata oggi sulla copertina di Nature Physics.



Negli ultimi decenni, gli astronomi hanno scoperto diverse migliaia di pianeti extrasolari. I pianeti extrasolari orbitano attorno a stelle al di fuori del nostro sistema solare. La nuova frontiera in questo campo di ricerca include lo studio della loro composizione e struttura interna, al fine di comprendere meglio il loro processo di formazione.

 Elisa Goffo, dottoranda presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino e il Thüringer Landessternwarte (Germania), insieme a un team di ricerca internazionale, ha fatto una scoperta unica, relativamente al pianeta GJ 367 b, che solleva domande interessanti su come nascano i pianeti. È la prima autrice dell'articolo Company for the ultra-high density, ultra-short period sub-Earth GJ 367 b: discovery of two additional low-mass planets at 11.5 and 34 days pubblicato sulla rivista "The Astrophysical Journal Letters".


La ricerca, frutto della collaborazione tra Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, Cnr e Università degli studi di Salerno, marca un nuovo risultato verso la realizzazione di interruttori elettro-ottici ultraveloci tali da aumentare la velocità limite con cui si processano i dati e si codifica l’informazione. Lo studio è pubblicato su Nature Photonics.
Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Photonics dimostra la possibilità di controllare le proprietà della luce per ottimizzare l’iniezione di carica di un materiale semiconduttore riducendo contemporaneamente la quantità di energia immessa, un risultato fondamentale per lo sviluppo futuro di dispositivi opto-elettronici.

È questa l’importante scoperta di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, in collaborazione con tre Istituti di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn), Istituto per la microelettronica e microsistemi (Cnr-Imm) e Istituto nanoscienze (Cnr-Nano) insieme a un gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Salerno.


Osservata nell’universo ancora giovane (1,25 miliardi di anni dopo il Big Bang), grazie al James Webb Space Telescope, la galassia GS-9209 ha una massa stellare simile a quella della Via Lattea e ha già terminato la formazione di stelle: le sue caratteristiche fanno luce sulla nascita delle galassie sferoidali e la connessione con i buchi neri di grande massa
Una collaborazione tra studiosi dell’Università di Edimburgo (Regno Unito) e dell’Università di Bologna ha identificato la più antica galassia quiescente – cioè che non forma più stelle – finora conosciuta. La galassia – chiamata GS-9209 – è stata osservata 1,25 miliardi di anni dopo il Big Bang: un’epoca che corrisponde a circa il 9% dell’età attuale dell’Universo. E a quel punto la formazione di nuove stelle al suo interno si era già fermata da circa mezzo miliardo di anni.
La scoperta – pubblicata sulla rivista Nature – è stata possibile grazie al James Webb Space Telescope e ci offre nuovi indizi per comprendere i processi fisici che guidano la formazione e l’evoluzione delle galassie. In particolare, lo studio ha permesso di evidenziare la correlazione tra la presenza di buchi neri supermassicci e l’inibizione della capacità delle galassie di formare nuove stelle.

 


Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza rivela la possibilità di programmare il movimento di microrobot da sfruttare nel campo biomedico e diagnostico. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Advanced Functional Materials.


L’intelligenza artificiale ha raggiunto un livello di prestazioni tale da poter sostituire l’attività umana in un’ampia gamma di lavori, dalle catene di montaggio ai laboratori di ricerca biomedica. In quest’ultimo campo negli ultimi anni si è assistito a un grande sforzo verso la miniaturizzazione dei processi mediante strumenti avanzati, specifici per la diagnostica e la terapia a livello delle singole cellule.

 

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