"La ricerca dimostra che la riduzione del flusso energetico all'interno delle comunità di mammiferi e uccelli non è stata uniforme, ma ha colpito in modo differenziale quei gruppi funzionali che supportano processi essenziali, quali l'impollinazione, la dispersione dei semi e la strutturazione della vegetazione," ha spiegato Luca Santini de La Sapienza di Roma, coautore dello studio.
Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato una mole impressionante di dati: oltre 3.000 specie di mammiferi e uccelli in 317.000 aree, che coprono savane, deserti e foreste. Hanno integrato sei ampi dataset ecologici, compreso un innovativo Indice di Integrità della Biodiversità per l’Africa, sviluppato anche grazie al contributo di specialisti locali.
Questa analisi energetica offre una prospettiva che va oltre il semplice conteggio delle specie, rivelando come la perdita di biodiversità stia compromettendo il funzionamento stesso della natura. Sebbene le grandi specie abbiano subito i cali più drammatici, oggi sono le specie più piccole—come roditori e uccelli canori—a dominare i flussi energetici residui del continente.
Oltre a diagnosticare il deterioramento degli ecosistemi africani, lo studio propone di utilizzare questo approccio "energetico" come strumento guida nei progetti di ripristino ecologico. Mappando i flussi di energia, è possibile quantificare l'integrità dei gruppi di specie che svolgono funzioni critiche, permettendo così di definire priorità di recupero che mirino al potenziamento funzionale, piuttosto che alla semplice reintroduzione di singole specie.
Questa nuova metodologia ha il potenziale per ridefinire il modo in cui scienziati e policy-maker in tutto il mondo valutano l'impatto della perdita di biodiversità, sottolineando come il destino delle singole specie sia indissolubilmente legato alla stabilità e al funzionamento dell'intero pianeta.

